UN PARTICOLARE PUNTO DI VISTA

Fotografia e pittura. Un dialogo aperto.

Un forte legame unisce da sempre pittura e fotografia da quel fatidico 19 agosto 1839, giorno in cui le invenzioni di Louis-Jacques Daguerre vennero rese pubbliche all’Accademia delle Scienze e delle Arti Visive a Parigi. L’arrivo di questa nuova forma d’arte non fu accolta con troppo entusiasmo dai pittori di allora tanto che ci fu qualcuno che affermò “Da oggi la pittura è morta”. Un iniziale rapporto di amore e odio che si trasformò nel tempo. La fotografia alla sua nascita guardava ai canoni e ai modelli dell’arte maggiore che storicamente la precedeva mentre la pittura si affiderà, superate le iniziali diffidenze, a questo nuovo mezzo di rappresentazione in grado di fermare il tempo e fornire ispirazione. Molti artisti dell’Ottocento e del primo Novecento utilizzarono stampe fotografiche per dipingere vedute o ritratti e anche nei dipinti con figura le fotografie si rivelavano d’aiuto perché sollevavano dalla necessità di una presenza prolungata dei modelli. Oggi sempre sempre più artisti scelgono questo medium come privilegiato modo per esprimersi oppure creano i loro dipinti basandosi su fotografie, istantanee scattate con una macchina fotografica o con il telefono cellulare. Pittura e fotografia, due arti talvolta in competizione quindi, spesso in rapporto di dipendenza l’una dall’altra. Due realtà che non hanno mai potuto ignorarsi e si sono reciprocamente influenzate, due percorsi paralleli, un legame indissolubile.

Nessuno ora ha comunque più alcun dubbio che una fotografia possa trasformare un istante fugace in un’opera d’arte ed entrare nei musei. Il lavoro di Fabio Bucciarelli ne è testimonianza. Creatore di immagini tecnicamente perfette, esteticamente ricercate, dense di significati. Immagini che raccontano la realtà in modo coinvolgente e diretto. E, più o meno consapevolmente, ci parlano ancora una volta dello stretto rapporto tra pittura e fotografia. In uno scatto sulla grande marcia di ritorno a Gaza c’è Eugene Delacroix con la sua Libertà che guida il popolo, “il primo quadro politico nella storia della pittura moderna” come venne definito. Ci parlano del grande artista francese il riferimento formale ad una composizione piramidale e le linee direzionali, create da gesti e sguardi, che conducono al movimento deciso del braccio destro della figura centrale. In Delacroix è l’immagine simbolica della Libertà che agita il tricolore invitando il popolo in armi a seguirla, nella fotografia di Bucciarelli un uomo che procede incitando con slancio e vigore la folla tumultuosa. La tragicità delle scene è amplificata da un identico cielo grigio; nuvole, polvere, il fumo nero delle gomme bruciate impediscono di vedere il sole ma sulle dominanti tonalità scure si impongono all’occhio le stesse accensioni cromatiche di rosso vivo. Travolgente è la medesima direzione del moto dei protagonisti che avanzano con decisione verso l’osservatore.

Questi scatti di Bucciarelli suggeriscono una relazione con il dramma del vero di un altro grande pittore dell’Ottocento francese, la dinamicità dei movimenti e l’espressione di energia e di spinta interiore di certi suoi quadri. Si tratta di Theodore Gericault che condivide con Delacroix l’atteggiamento di fronte alla storia e alla condizione dell’esistenza umana; entrambi interpretano infatti la poetica romantica degli oppressi e dei vinti protagonisti della storia. E questi sono, non a caso, i soggetti privilegiati del lavoro del fotografo italiano che, attraverso le sue immagini, vuole cercare la verità e dare voce agli ultimi. “Se la sofferenza è distruzione e morte il mio compito è mostrare tutto questo e dare alle persone gli strumenti per decodificarlo. Se esiste la guerra siamo noi esseri umani a farla: diventa fondamentale documentarla per aiutarci ad essere più consapevoli del mondo in cui viviamo”. Così racconta una guerra in Africa, violenta e senza tregua, un conflitto di potere tra gruppi etnici. È importante per lui esserci e testimoniare la verità della tragedia ma, di fronte a questi scatti nel Sud del Sudan, emerge evidente la capacità di Bucciarelli di fissare la realtà in immagini dove spazialità e composizione sono suggerite da criteri estetici ed espressivi che hanno il potere di sollecitare nell’osservatore particolare coinvolgimento e risonanza. Intravediamo Caspar David Friedrich in quei contrasti tra l’oscurità della terra e la luminosità del cielo, in quei paesaggi che verso lo sfondo paiono slittare lentamente nell’irreale, avvolti dalle nebbie, in quelle figure immobili di fronte all’incomprensibile. La sublime malinconia, la solitudine, l’angoscia esistenziale del pittore tedesco si trasformano, in queste fotografie, nel racconto di vita della popolazione Dinka. Uomini e donne, vecchi e bambini abbandonati al proprio destino, imprigionati in un paesaggio surreale tra alberi scheletrici, attorti e nodosi come la loro esistenza oppure fermati, nel loro avanzare, dal filo spinato. Figure che si profilano in controluce sul fondo avvampato e fumoso. Il fotografo diviene testimone della storia nel luogo dove i fatti accadono, ambasciatore di un’informazione necessaria per raccontare i drammi dell’umanità lontana dai nostri occhi.

Ancora alberi nelle fotografie di Bucciarelli ma questa volta sono quelli che bruciano in Amazzonia. Il polmone verde del nostro pianeta, minacciato dalla deforestazione e trasformato in un tragico rogo appare, in questi scatti, vicino alla sensibilità pittorica di William Turner, l’artista del Romanticismo inglese che fonda il proprio linguaggio sul contrasto tra densità dell’atmosfera e trasparenza della luce. L’immagine del fotografo fissa la realtà dell’incendio attribuendole una innegabile, sottile componente di ricercatezza estetica in quel rapporto tutto cromatico tra la barriera scura della foresta e l’incandescenza luminosa del cielo coperto dalle fiamme.

Luce diffusa che definisce visioni nitide, luce che accentua un particolare mettendolo in risalto, luce che colpisce le forme direttamente o attraverso varchi inattesi, luce che crea aloni e dissolvenze o che potenzia le note realistiche del dettaglio. Ma nel lavoro di Bucciarelli la componente estetica che rende l’immagine “artistica” è solo un elemento di lettura del suo “essere fotografo”. La fotografia è documentazione della realtà, testimonianza e denuncia dei fatti. È la memoria storica dell’umanità. Un’immagine può essere più forte di tante parole perché è un universo nello stesso tempo chiuso e aperto a mille interpretazioni e, proprio per questo, scuote le coscienze e fa riflettere. Fabio Bucciarelli è consapevole della grande responsabilità, e anche del privilegio, di tramandare alla storia la storia stessa, attraverso i suoi occhi.

Antonella Uliana
Assessore alla Cultura


FABIO BUCCIARELLI

Note biografiche

FABIO BUCCIARELLI è un fotografo, giornalista e autore internazionale noto per il suo lavoro di reportage sui conflitti globali e sulle terribili ricadute umanitarie che ne conseguono. In oltre 15 anni di carriera ha documentato i principali eventi globali, con immagini che riflettono la sua incrollabile empatia e il suo impegno nel raccontare le storie di coloro che sono stati colpiti da guerre, cambiamenti climatici o altri scenari di crisi. Il suo lavoro è un potente appello ad agire in favore di coloro le cui vite sono state sconvolte da problemi devastanti. Ha realizzato reportage da zone di conflitto in tutto il Medio Oriente, tra cui la Libia durante la guerra civile e la caduta di Gheddafi, la Siria durante la battaglia di Aleppo, l’Iraq, Gaza, l’Iran, l’Egitto, la Turchia e l’Ucraina dall’inizio del conflitto nel 2014. Bucciarelli ha anche documentato le crisi umanitarie che si sono verificate in Africa, tra cui il Sud Sudan e il Mali. Oltre a questi temi ha raccontato una serie di eventi globali, tra cui i devastanti incendi in Brasile, le proteste contro il sistema economico neoliberista in Cile e la migrazione di massa dei centroamericani verso gli Stati Uniti. Nel 2020 e nel 2021 ha seguito per il New York Times la pandemia COVID-19 nel suo epicentro, in Italia. Più recentemente, è tornato in Ucraina per documentare l’invasione russa come inviato speciale del TG3/Rai3, oltre che per importanti testate internazionali, tra cui Die Zeit e Il Fatto Quotidiano. L’impegno costante di Fabio Bucciarelli nel raccontare storie importanti attraverso immagini vivide e reportage dettagliati gli è valso l’ampio riconoscimento e il rispetto del settore. Il suo reportage sulla guerra siriana gli è valso la prestigiosa Robert Capa Gold Medal dell’Overseas Press Club of America. Ha vinto 10 premi Picture of the Year International, 2 premi World Press Photo, 2 Sony World Photography Awards, il Prix Bayeux-Calvados per i corrispondenti di guerra, il VISA d’Or News di Perpignan, la Lucie Foundation, il Premio Internazionale Yannis Behrakis, il Premio Ponchielli, il World Report Award. Tra gli altri riconoscimenti anche: Best of Photojournalism, Days Japan International, Kuala Lumpur International PhotoAwards e Getty Images Editorial Grant. È stato nominato Fotografo dell’anno nel 2019 e Fotografo dell’anno Award of Excellence nel 2023 per il suo lavoro di copertura della guerra in Ucraina e dell’impatto devastante della crisi climatica in Sud Sudan. Oggi Bucciarelli collabora con i principali organi di informazione, tra cui New York Times, La Repubblica, Die Zeit, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Yahoo News, Newsweek, L’Espresso, Time Magazine, Al Jazeera. Inoltre collabora con diverse ONG e agenzie internazionali tra cui UNHCR, ICRC, Emergency, Intersos e Soleterre. Oltre ai suoi progetti come fotografo e reporter, è stato incaricato di lavorare come curatore e direttore artistico per diversi musei e istituzioni, tra cui il Ministero degli Affari Esteri italiano. Nel novembre 2023, Fabio Bucciarelli è diventato Ambasciatore Canon, unendosi così a un gruppo illustre di fotoreporter di grande talento e fama. La sua presenza tra questi appassionati narratori riflette il suo impegno verso l’eccellenza e il suo significativo contributo al mondo della fotografia.


Informazioni mostra

Organizzazione
Comune di Vittorio Veneto

Progetto grafico, materiali multimediali e allestimento
I AM Comunicazione

PALAZZO TODESCO

Già Palazzo Cesana Bonaccorsi

Così descriveva il palazzo Antonio Moret nella sua “Serravalle piccola Firenze del Veneto” (Vittorio Veneto, 1977): “Fu costruito, probabilmente, dal figlio dell’eroico Bartolomeo dei Conti Cesana da Collo – Testa o Bonaccorsi, dopo la sistemazione definitiva della piazza Flaminio e su parte dell’area rimasta libera dopo la demolizione delle casa di Missier Sarcinello decisa dalla Comunità nel 1566. Posto di fianco alla “Loza” e ad angolo fra la via Riva e la piazza, domina da un rialzo tutta la Calgrande. Le due facciate, sud e ovest, poggiano su molti archi sostenuti da colonne decisamente alte verso la piazza, e da colonne digradanti in altezza e sempre più massicce lungo il pendio della riva. I capitelli delle colonne nella facciata principale hanno tutti la stessa forma e proporzione, quelli della facciata laterale invece si presentano più tozzi, quasi arcaici, come le colonne. (…) Tutto l’insieme di questo palazzo, ricco di finestre, di poggioli allineati su tutti i piani, mostra una certa elegante fastosità rinascimentale. Sul capitello della colonna ad angolo è scolpito lo stemma di questo ramo della famiglia dei Cesana: “quattro più cinque bande disposte orizzontalmente in campo aperto”. Sul capitello di una bassa colonna appoggiata all’angolo destro della facciata vi è un altro stemma: “due bastoni incrociati con gemme”, probabilmente di quella famiglia che possedeva il palazzo adiacente demolito dall’amministrazione austriaca nel 1817 per far posto alla nuova strada dell’Alemagna, quella strada che sventrò il quartiere più antico di Serravalle e destinò ad una lenta e inesorabile morte la vitalissima “Riva de piazza”. Sulle chiavi di volta di tutti gli archi della facciata vi sono dei caratteristici mascheroni scolpiti in pietra.” In seguito, il proprietario del Palazzo fu Giuseppe Todesco. Nato nel 1877, Todesco si laureò in legge e intraprese la carriera notarile. Il 16 ottobre 1921 fu eletto Consigliere Comunale (lista Socialista). Cessò il successivo ottobre 1922 a seguito dello scioglimento del Consiglio stesso. Esercitò le funzioni di Notaio in Ceneda, quale coadiutore di Luigi Rossi (1926) e poi in Serravalle fino alla morte, avvenuta nel 1961. Alla sua morte, lasciò in eredità al Comune di Vittorio Veneto il Palazzo Cesana Bonaccorsi di sua proprietà che prese il nome di Palazzo Todesco.

Informazioni


Palazzo Todesco

Piazza Flaminio - Serravalle

31029 Vittorio Veneto (TV)

Italy


info@palazzotodesco.it

fb comune di vittorio veneto